di Donatella Depperu
Il convegno dell’Academy of Management (quest’anno a Philadelphia) si è, come sempre, sviluppato su di un incredibile numero di sessioni ruotanti intorno alle diverse divisioni.
Tra queste, una ha assunto la forma di un interessante confronto tra accademici (questi ultimi rappresentati da Henry Mintzberg) ed editori. Eloquente il titolo: The Book is Dead. Long Live the “Book”.
Anche qui negli USA si è evidenziato come la scelta delle business school di privilegiare gli articoli nella valutazione della faculty abbia portato soprattutto i più giovani a non considerare più di poter pubblicare un libro. Molte riflessioni, poi, sono state fatte sul fatto che i giovani non amano leggere (per la verità smentite da alcuni esempi di libri di grande successo), sul ruolo delle nuove tecnologie e, in generale, sul declino del “long writing” e “long reading”.
Nonostante tutto questo, il libro non sembra essere morto, ma piuttosto si è sottolineato come si debba puntare su libri brevi, interessanti, scritti con un linguaggio sintetico e non accademico. Emblematico un esempio portato da Mintzberg su di un libro francese di sole 40 pagine e un prezzo di 4 euro, che ha venduto milioni di copie.
Qualcuno tra i presenti ha contribuito al dibattito sottolineando come i docenti abbiano sbagliato arrendendosi di fronte alle richieste degli studenti di avere sempre meno da leggere perché ormai i ragazzi hanno perso la capacità di concentrarsi su testi lunghi e riflettere sul loro contenuto. A me questo fa pensare che, per una volta, con il nostro proverbiale ritardo nell’adeguarci alle prassi internazionali, forse abbiamo acquisito un vantaggio competitivo che dobbiamo cercare di mantenere. I nostri studenti sono ancora in grado di leggere e studiare su testi lunghi e complessi (anche se pure in Italia abbiamo perso terreno rispetto al passato) e questa è una capacità che dobbiamo mantenere difendendo con tenacia un modello educativo che credo dia ai nostri studenti un asso nella manica. La dimostrazione la danno i voti che i nostri giovani riescono ad ottenere quando vanno all’estero, segno che l’allenamento domestico funziona e bene.